Associazione contro la leucemia e le altre emopatie maligne per la ricerca clinica e la terapia domiciliare

Le terapie immuno-mirate, dirette cioè contro specifici bersagli molecolari, rappresentano l’opzione terapeutica migliore nei pazienti con B-LLA in recidiva o refrattari alla chemioterapia.
Valutare l’espressione del recettore CD22 prima, durante e dopo il trattamento
può migliorare le risposte cliniche.

 

La leucemia linfoblastica acuta di tipo B (B-LLA) è la forma di leucemia acuta più co-mune fra i bambini: circa l’80% delle diagnosi in età pediatrica può essere ricondotto a que-sto tipo di leucemia. Ma negli adulti, la B-LLA è invece una malattia rara e anche più difficile da trattare: dopo un periodo iniziale di remissione completa (CR), molti pazienti adulti sviluppano chemioresistenza e recidivano. Le terapie immunomirate, ovvero che utilizzano anticorpi diretti contro specifici bersagli molecolari espressi sulle cellule del tumore, rappresentano un potenziale strumento per trattare pazienti che non rispondono alla chemioterapia e per prevenire la malattia residua minima (MRD). In particolare, la terapia con Inotuzumab ozogamicin (InO) è indicata per il trattamento dei pazienti adulti con B-LLA recidi-vante o refrattaria che presentano precursori delle cellule B che esprimono il recettore CD-22 (CD-22 positivi).

L’80% dei pazienti con B-LLA trattati con InO può raggiungere uno stato di CR. A spiegare le potenzialità e i margini di miglioramento di questo nuovo trattamento legato all’espressione di CD-22 è uno studio di revisione pubblicato nelle scorse settimane su Cancers.