Spiegando il razionale dello studio, gli autori, guidati da Mohamed A. Kharfan-Dabaja della Divisione di Oncologia-Ematologia del Blood and Marrow Transplantation Program della Mayo Clinic di Jacksonville (Florida), scrivono che è ancora poco chiaro quale sia l’approccio terapeutico ottimale per i pazienti con leucemia mieloide acuta che ricadono dopo un primo trapianto allogenico. “Fino ad oggi non era stato effettuato alcun trial clinico randomizzato in cui si confrontassero gli outcome di sopravvivenza di un secondo allo-trapianto di staminali e di un’infusione di linfociti da donatore”. La leucemia mieloide acuta è una malattia eterogenea e complessa che smentisce gli algoritmi convenzionali di trattamento, basati solo su caratteristiche cliniche e citogenetiche. Il trapianto allogenico può curare la malattia in misura variabile a seconda se il paziente sia in remissione o meno al momento dell’allotrapianto, con tassi di OS compresi tra il 15% e il 30% nei pazienti recidivati o refrattari e tra il 50% e il 75% in quelli che fanno il trapianto allogenico durante la remissione completa iniziale. È importante sottolineare, osservano gli autori, che dal 25% al 30% di tali pazienti va comunque incontro a una ricaduta, nonostante la somministrazione di regimi mieloablativi.